Acqua, bene comunitario

L’intervento di Donato Berardi, Antonio Massarutto e Samir Traini su Lavoce.info.
Dopo il referendum sull’acqua pubblica del 2011, il sistema è regolato dai principi dell’ordinamento europeo, senza alcun tradimento della volontà popolare. Ora è tempo di rinunciare agli slogan e concentrarsi sui problemi, per trovare soluzioni.
Il ritornello della volontà popolare tradita
È dall’indomani del referendum 2011 sull’acqua pubblica, che sentiamo ripetere incessantemente la fake news della volontà popolare tradita. Il popolo sovrano, recita la litania, sarebbe stato ingannato diverse volte. Prima cogliendo dall’esito del voto l’opportunità per trasferire le competenze regolatorie dal ministero dell’Ambiente all’Arera – presentata come una quinta colonna dello stato imperialista delle multinazionali, sacerdotessa del mercatismo neoliberista. Poi permettendo che le gestioni mantenessero l’assetto della società per azioni, “ontologicamente orientate al profitto” e quindi nemiche del bene comune. E ancora, rinunciando a espropriare le gestioni che nel frattempo si erano aperte all’investimento privato – le multiutility quotate e la mezza manciata di società miste. Infine, resuscitando la “remunerazione del capitale” sotto mentite spoglie e non perdendo occasione per consentire alla proprietà delle aziende di lucrare qualche margine di profitto.
Da qui la necessità di un intervento legislativo che rimetta le cose a posto. Un tentativo, come si ricorderà, c’era stato ai tempi della “proposta di legge Daga” che il governo giallo-verde era stato vicino ad approvare: se fosse passata avrebbe riportato il paese indietro di 25 anni. Prima che il Parlamento decida di riprendere in mano quella sciagurata proposta, non sarà male ricordare alcune cose.