I rifiuti crescono più del PIL

Rispetto all’obiettivo europeo di far crescere il Pil senza far crescere anche i rifiuti prodotti dalle attività economiche, l’Italia è maglia nera, mentre Francia Germania hanno già imboccato la strada virtuosa del disaccoppiamento. Una possibile soluzione? Rendere più semplice la trasformazione degli scarti in sottoprodotti, da reimmettere nel ciclo produttivo.
Nel 2020, su 174,9 milioni di tonnellate di rifiuti complessivamente prodotte in Italia, quelle riconducibili alle attività economiche hanno raggiunto 81,1 milioni di tonnellate. Negli ultimi 10 anni, la tendenza è sempre stata in crescita in termini assoluti, con un unico leggero calo registrato a seguito delle restrizioni per contenere la diffusione del COVID-19, laddove anche l’incidenza sulla produzione complessiva è aumentata.
A livello di settore economico, la gestione delle acque e quella dei rifiuti sono i principali produttori, con 42,2 milioni di tonnellate, corrispondenti al 52% del totale dei rifiuti derivanti dalle attività economiche. Segue, a distanza, la manifattura, con 23,4 milioni di tonnellate (29% dei rifiuti delle attività economiche). La sola “gestione dei rifiuti” è passata dai 17,9 milioni di tonnellate del 2010 ai 37,2 milioni del 2020 (+108% in dieci anni), diventando così il primo settore produttore di rifiuti.
Per quanto concerne, invece, la tipologia di rifiuto, i rifiuti secondari – derivanti dal trattamento dei rifiuti stessi – ammontano a 25,3 milioni di tonnellate, pari a circa un terzo dei rifiuti prodotti dalle attività economiche nel 2020. Tra il 2010 e il 2020, i rifiuti derivanti dal trattamento dei rifiuti medesimi sono aumentati, tanto in peso quanto in quota del totale dei rifiuti da attività economiche. È evidente, quindi, che la produzione di tali rifiuti sia diventata una vera e propria peculiarità del sistema italiano.