15 Marzo 2023

Il “governo” dell’acqua entra nel XXI secolo

L’acqua dolce è diventata una risorsa scarsa, anche al Nord. Mentre l’Europa chiede nuovi impegni sugli inquinanti e sul riuso. Serve allora una strategia che dia indirizzi coerenti per affrontare la situazione in un’ottica di medio-lungo termine.

L’intervento di Donato Berardi su Lavoce.info.

Il “problema acqua” dagli inizi del Novecento agli anni Novanta

La primavera e l’estate del 2022 ci hanno regalato un assaggio delle conseguenze di un clima che cambia. Ne avevamo già parlato su lavoce.info. Il 2023 si annuncia già peggiore perché, salvo un rinforzo delle piogge primaverili, è molto probabile che gli effetti della scarsità d’acqua saranno ancora più intensi. Ne abbiamo i primi sentori: il Po a Torino ha una portata inferiore del 35 per cento rispetto ai livelli già bassi del 2022; autobotti portano l’acqua potabile nei paesi montani del Cuneese e del Verbano e c’è chi lancia l’allarme “rubinetti asciutti” per 3,5 milioni di italiani.

Chi ha visitato la città di Matera sa che, in tempi antichi, gli abitanti si erano prodigati per scavare una enorme vasca nel tufo, il Palombaro Lungo, proprio sotto il centro cittadino: una cisterna per raccogliere l’acqua piovana. Una testimonianza di come alcune aree del nostro paese siano abituate a convivere con la scarsità idrica; conosciamo il problema e abbiamo le capacità per approntare soluzioni di adattamento.

Una preoccupazione, quella della mancanza di acqua, che già agli inizi del Novecento aveva condotto alla nascita di adduttrici e acquedotti interregionali. L’Acquedotto pugliese è nato in questa prospettiva: dare l’acqua a una regione, la Puglia, che ne è povera; anni dopo la diga di Ridracoli, nell’Appennino tosco-romagnolo viene realizzata per placare la sete di una vasta area della Riviera romagnola, ponendo le premesse per lo sviluppo in una zona che oggi ospita milioni di presenze turistiche.

È un percorso che nel secondo dopoguerra è stato rafforzato e sostenuto dagli interventi della Cassa del Mezzogiorno con la realizzazione di dighe, interconnessioni e invasi: un modello che è stato la salvezza del Sud Italia e che andrebbe riproposto anche nelle regioni del Nord, per equilibrare le diverse disponibilità di acqua.

Quello che è successo dopo è storia recente. Alla metà degli anni Novanta la legge Galli ha indicato la via della gestione industriale del ciclo dell’acqua, basata su ambiti territoriali ottimali, sull’abbandono delle gestioni dirette da parte dei comuni e la sostituzione della tariffa alle tasse per finanziare il servizio, così da costruire un legame chiaro e diretto (corrispettivo, direbbero i giuristi) tra la qualità e la quantità del servizio goduto e il suo costo. Un percorso nel quale sono stati fatti molti passi avanti, soprattutto con la regolazione Arera, ma che ancora non può dirsi compiuto. Un percorso che ha un limite: è focalizzato sul perimetro degli usi civili, i cittadini e le attività economiche che gravitano intorno alle aree urbane, e non contempla la scarsità della risorsa e la necessità di regolamentare gli altri usi, in particolare quello agricolo e industriale, che da sempre sono rimasti ai margini del perimetro, e che, anche quando coinvolti, hanno sempre goduto di tariffe agevolate.

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