Il greenwashing può costare caro alle imprese

Alle imprese si chiede sempre più di operare in modo ambientalmente e socialmente sostenibile. La trasformazione richiede investimenti cospicui. Ma ricorrere al greenwashing e al brownwashing può costare caro, sotto il profilo reputazionale e finanziario.
L’intervento di Samir Traini e Giulia Alberti di Catenaja, su Lavoce.info.
Sostenibilità, greenwashing e brownwashing
Nel 2020, prima che le espressioni “pandemia” e “Covid-19” entrassero nel nostro vocabolario, Larry Fink, il Ceo di Blackrock – il più grande asset manager al mondo – scriveva una lettera indirizzata ai top manager aziendali in cui sottolineava l’importanza di affrontare gli effetti del cambiamento climatico come una responsabilità morale e fiduciaria verso gli azionisti e l’intera umanità. Gli impatti dei rischi del cambiamento climatico, affermava, trasformeranno il mondo finanziario e del credito poiché sono diventati un fattore determinante nelle prospettive di prosperità a lungo termine delle aziende.
Lo sviluppo sostenibile e duraturo di ogni azienda diventa, dunque, indissolubilmente legato alla capacità di operare in modo ambientalmente e socialmente sostenibile, oltre che di interagire con l’intera gamma di stakeholder. I vertici e le figure apicali aziendali sono chiamati sempre più a rendere conto della sostenibilità del proprio operato con la pretesa di una maggiore trasparenza riguardo le scelte gestionali e di pianificazione.
A livello europeo è stata adottata la strategia del Green Deal che racchiude una serie di azioni che hanno effetti a livello ambientale, sociale e di governance (Esg), il cui scopo primario risiede nel raggiungere la neutralità climatica dell’economia europea al 2050, attraverso una transizione che necessita del contributo del settore finanziario. Una strategia che richiede la condivisione di dati e di informazioni da parte delle aziende tali da monitorare e garantire il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità.